Dopo aver attraversato indenni il malfamato psicodramma del "problem solving" arriva il momento dell'ormai noto "brainstorming". Definitivo, irripetibile è la tempesta di cervelli, l'assalto mentale, l'ultimo passo da fare sulla strada della risoluzione di un problema di lavoro.
".....possiamo dare il via alla sessione di brainstorming....."e, per il selezionato consesso, è l'inizio dei lavori. Pochi i partecipanti, un coordinatore, tre, dieci persone al massimo. Assoluta libertà di dire sul problema qualsiasi cosa venga in mente, la più bizzarra, la più strampalata. Sempre più "storming" che "brain". Alla fine un fritto misto di idee dove, a occhio e croce, si dovrebbe (il condizionale è d'obbligo) trovare quella giusta.
Ma è un contesto ottimale. Nella realtà queste sessioni sono solo un paravento per coprire decisioni autocratiche già prese altrove. Il coordinatore ha infatti guidato abilmente gli interventi dei partecipanti per far emergere la soluzione che, guarda caso, coincide con con le aspettative del vertice aziendale. Ma, allora, per quale motivo si porta avanti simile macchiavello? La risposta è duplice.
- I dirigenti aziendali , incapaci di prendere iniziative rapide, efficienti ed efficaci hanno necessità di una conferma formale. Il "brainstormig" diventa quindi una ghiotta occasione per chiedere aiuto a coloro che vivono quotidianamente la realtà spicciola del mondo lavorativo. In questo caso però manca una chiara assunzione di responsabilità oltre a una certa difficoltà nel portare avanti il processo decisionale. Ed è' chiaro dunque come per costoro alla lunga non sia più giustificabile continuare a ricoprire la funzione.
- Oggi le imprese preferiscono impiegare le loro risorse economiche in operazioni finanziarie e speculative anzichè investirle in attività produttive. Ciò vuol dire massimizzare i profitti intervenendo anche pesantemente sui lavoratori percepiti solo come capitolo di spesa da abbattere. La conseguenza è una generalizzata frustazione oltre a una diffusa demotivazione. Così, ben sapendo come ciascuno curi particolarmente le sue cose e nell'intento di fornire nuove motivazioni, si fa circolare abilmente l'dea che l'azienda è anche dei lavoratori. Si concedono incentivi economici (ovviamente sostitutivi degli aumenti contrattuali) legati al fatturato (quasi se i dipendenmti fossero azionisti senza però disporre della titolarità azionara) e si implementano le procedure del "problem solving" per dare l'illusione ai lavoratori di poter intervenire direttamente nelle politiche aziendali.
Ma oramai queste cose appartengono al tramonto di quel neocapitalismo nostrano da strapazzo che, contribuendo alla finanziarizzazione dell'economia, ha concorso non poco alla crisi degli ultimi anni. Così lasciato alle spalle il capitalismo vecchia maniera con gli Olivetti,l Ferrero, i Valletta, il suo naturale erede, il neocapitalismo , è ormai a fine corsa.
All'orizzonte una nuova generazione di imprenditori che accentreranno su di sè ogni potere riservandosi ogni decisione senza inutili procedure di finta condivisione, senza impedimenti, senza che altri possano interferire sul governo dell'impresa ne tantomeno effettuare scalate ai vertici degli organi aziendali. Saranno i nuovi "padroni del vapore" i nuovi "poteri forti".